Ricerca sul Sito

Disturbi del Comportamento Alimentare: quando amare significa dare all’altro quello che non si ha

L’anoressia caratterizza ancora oggi il nostro tessuto sociale rappresentando un problema importante a partire soprattutto dall’adolescenza. Tuttavia, cresce l’incidenza dei disturbi del comportamento alimentare tra i bambini in età prepubere e nella popolazione generale adulta.

Di solito, viene vista come una patologia che investe prevalentemente l’alimentazione, tralasciando facilmente tutto ciò che comporta il corpo e l’identità. Il sintomo anoressico è il segnale del fallimento dei processi di integrazione di parti della personalità in sviluppo, inerente al processo di costruzione dell’identità; quindi, è relativo al periodo dell’adolescenza e, dunque, al momento della definizione dell’identità sessuale e dell’acquisizione del corpo sessuato.

Il DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) la colloca nell’ambito dei disturbi dell’alimentazione, ponendo l’accento sul cibo. Tuttavia, è di fondamentale importanza considerare anche le alterazioni dell’immagine del corpo che possono manifestarsi con il desiderio di magrezza e con l’idea fissa di ingrassare.

Alcune persone si percepiscono grasse contrariamente alla realtà, alcune magre o snelle ma ritengono troppo voluminose alcune parti del proprio corpo; altre invece, si mostrano fiere del loro aspetto fisico. Nonostante tutto il corpo sia ridotto ad uno scheletro, un tratto di esso, ad esempio i fianchi, può imporsi ed influenzare la percezione di sé. La distorsione della propria immagine corporea allo specchio è severa e non in linea con le proprie aspettative ideali. Il soggetto ha sempre la sensazione di essere grasso e il timore di ingrassare; questo, lo porta inevitabilmente a vivere sempre delle restrizioni e a mantenere il controllo su di sé.

I livelli di autostima sono influenzati dalla forma fisica e dal peso corporeo; è come se il proprio valore passasse attraverso la capacità di controllare questi aspetti. La perdita di peso viene considerata come una straordinaria conquista, un elemento di trionfo rispetto alle esigenze del proprio corpo; mentre, l’incremento ponderale, viene percepito come un’inaccettabile perdita del controllo. Il timore di ingrassare non diminuisce con il dimagrimento, indice di un diniego della magrezza e della sua gravità.

Il soggetto presenta una scarsa consapevolezza della propria malattia che non viene vissuta come un disturbo e, dunque, non crede che dal ricevere aiuto possa nascere un miglioramento; la richiesta d’aiuto arriva solitamente da un familiare che tenta di affrontare il sintomo, soprattutto quando diventa severo e imponente.

Il sintomo anoressico permette così di occupare una posizione di onnipotenza; gli amici e la famiglia si mobilitano intorno all’individuo, l’anoressia diviene il tema principale delle conversazioni e delle preoccupazioni e il peso diventa un oggetto interessante di cui parlare. Questo aspetto può rivelarsi come un vantaggio nel soggetto che sta strutturando una patologia alimentare, poiché gli permette di ottenere una centratura narcisistica, uno degli aspetti nascosti della problematica anoressica.

Tali famiglie possono presentare un serio difetto di comunicazione intersoggettiva; al sintomo non viene attribuito alcun valore espressivo, viene privato delle emozioni e dei sentimenti e relegato al solo problema dietologico e gastroenterologico. Tutto sembra nascere da una questione estetica e superficiale che cela, però, il bisogno di controllare la propria immagine corporea e, dunque, il cibo.

Un terreno fertile all’anoressia può essere una madre esigente, centrata sui propri bisogni e desideri, e una figlia che non ha la forza o il carattere di non piegarsi a tale situazione. La bambina dovrà realizzare l’ideale della madre negando la realtà individuale e la capacità di vivere autonomamente.

Se vuole esistere e sentirsi amata dalla propria madre, proverà ad essere come l’immagine della figlia desiderata da lei e riflettere le sue aspettative.

Per troppo tempo è stata una bambina saggia e tranquilla e diventata adulta sembra dire: “Hai sempre voluto che io fossi come tu volevi; ora sono io che decido cosa mangiare e come modellarmi”. Finalmente è lei ad avere il controllo sul suo corpo, modellandolo secondo il proprio ideale. Capovolge la sua relazione di dipendenza occupando la posizione di onnipotente. Con il sintomo può controllare sia il proprio corpo, sia le persone che gli sono care, per le quali doveva conformare la propria immagine, secondo il loro desiderio.

Ha paura che ciò che accade all’interno di sé possa distruggere l’immagine che aveva modellato e che le permetteva di sentirsi amata; quindi, per preservare questa immagine, mostra un’immagine falsata ed occupa di nuovo la posizione della bambina chiamata a realizzare un ideale che non le appartiene.

Quando i primi segni della pubertà compaiono, il soggetto si trova di fronte a trasformazioni fisiche e psichiche complesse che implicano la riattualizzazione di diverse problematiche infantili. Il dimagrimento rappresenta il tentativo di ritrovare il corpo del periodo della latenza, il corpo infantile dove non appaiono caratteri di sessualità o di maternità.

Numerose ricerche riguardo al ruolo del padre nelle famiglie anoressiche evidenziano un carattere sottomesso e un’incapacità di imporre regole all’interno del sistema familiare. La funzione paterna sembra debole e conferma una certa logica dell’apparire: al di fuori della famiglia, come ad esempio nei luoghi di lavoro, questi padri si mostrano spesso conformisti nei confronti degli altri.

L’individuo anoressico presenta una florida e raffinata vita intellettiva: passioni sociali, filosofiche, estetiche, ecc., che però non arricchiscono la creatività personale essendo dei tentativi mal riusciti di sublimare un mondo interno in crisi. È una lotta contro il bisogno di amore, di dipendere, di legarsi, di alimentarsi e un tentativo di controllare e negare il vuoto.

Partendo dalla definizione che J. Lacan da dell’amore: “ L’amore è dare all’altro quello che non si ha”, M. Recalcati definisce l’anoressia-bulimia non come una malattia dell’appetito, ma come una malattia dell’amore. L’anoressica rifiuta il cibo perché non si accontenta che le venga dato soltanto ciò che l’altro ha: non vuole cibo, ma la mancanza, l’amore.

Nei primi momenti di vita il neonato emette delle urla affinché la madre possa soddisfare i suoi bisogni, tale richiesta non viene espressa dal bambino solo per ottenere la materialità dell’oggetto, ma si trasforma in una domanda d’amore. Il bambino cerca quel “niente” che gli permette di fare di nuovo la domanda d’amore. È fondamentale che la madre mantenga uno scarto tra il bisogno e la domanda, permettendo al desiderio di venir fuori.

Il sintomo dell’anoressia, dunque, sarebbe una reazione a questo “niente”, il rifiuto dell’oggetto di soddisfacimento del bisogno.

Si disegna così una doppia faccia dell’anoressia: da una parte è una malattia dell’amore, dall’altra il cancellare il desiderio dal corpo, rifiutando un oggetto del bisogno come il cibo.

L’approccio psicoterapeutico alla relazione patologica con il cibo deve essere inserito all’interno di un trattamento multidisciplinare in cui interagiscono tra loro diverse figure professionali e sarà indispensabile, inoltre, il nutrimento dato da buone relazioni, calde e confortevoli.